Il canarino nella miniera
L’ultimo spot di Under Armour realizzato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale potrebbe essere un brutto segnale per il futuro dell'industria creativa.
Perché è importante: Tra poco ogni brand potrà realizzare spot di qualità holliwoodiana con l’IA, ma dovrà comunque coltivare un rapporto di fiducia con il proprio pubblico come ha sempre fatto.
Under Armour ha da poco pubblicato uno spot realizzato con l’intelligenza artificiale incentrato sul famoso pugile britannico Anthony Joshua, uno dei principali testimonial del brand. L’agenzia Tool che ha prodotto il video ha addestrato l’IA con immagini di precedenti spot di Under Armour e poi ha prodotto le scene attraverso dei prompt inviati all’IA.
Il risultato è uno spot di sessanta secondi diretto da Wes Walker in cui vediamo una statua gigante di Joshua in mezzo al deserto mentre si sgretola, poi alcune scene di Joshua sul ring e infine la statua che si ricompone. La voce narrante di Joshua (anch’essa realizzata con l’intelligenza artificiale) accompagna le immagini. La qualità del risultato è a tratti buona, a tratti piuttosto mediocre.
L’agenzia BWGTBLD (che non ha prodotto lo spot, ma collabora con il direttore Wes Walker) ha condiviso su Instagram questo spot stimolando una discussione sul modo in cui è stato realizzato. Uno dei primi commenti è stato di Gustav Johansson, direttore dell’agenzia scandinava Newland:
«Se non sto impazzendo, include anche le riprese di uno spot pubblicitario che io ho realizzato e André Chementoff ha girato».
Il direttore Wes Walker gli ha risposto:
«Assolutamente sì, è stato realizzato con materiali multimediali misti, senza avere accesso all’atleta e solo con risorse già esistenti. I diritti sui filmati sono di proprietà di 72Sunny e UA si è assicurata tutte le licenze e ne ha richiesto l'utilizzo. Noi abbiamo addestrato l’IA su questi filmati [...]. Il futuro è questo: i brand addestrano l’IA sui loro prodotti, atleti, estetica; ripubblicano parti di filmati già esistenti; e utilizzano l’IA per fare di più in meno in meno tempo».
La discussione tra i due è proseguita, con Walker che ha difeso la gestione dell’operazione dal punto di vista legale e ha detto a Johansson che «se tu e gli altri direttori siete preoccupati per i credits, saremo felici di contattare UA e assicurarci che tutti voi riceviate i crediti per le riprese da voi realizzate come “filmati aggiuntivi di” o “IA formata sui filmati di”».
Al che Johansson ha risposto:
«Non sto mettendo in discussione alcuna violazione del copyright, ma solo i diritti morali».
La rivista AdAge ha contattato altri direttori per chiedere un parere e uno di essi (che è rimasto anonimo) ha detto che questo spot è un canarino nella miniera, lasciando intendere che è un brutto segnale per il futuro dell'industria creativa. I grandi brand possiedono immense librerie su cui addestrare l’IA, per poi creare filmati a basso costo.
Oggi i risultati non sarebbero paragonabili a quelli di uno spot girato nella maniera classica, ma tra non molto tempo probabilmente sì: «Perché pagare 1 milione di dollari per uno spot quando puoi farlo per una frazione di quella cifra e il risultato sarà simile?», ha detto ancora il direttore che ha voluto restare anonimo.
Anche se il risultato sarà presto simile, resta un interrogativo più profondo: uno spot di qualità apparentemente cinematografica realizzato con l’IA è il modo giusto per coltivare il rapporto con il proprio pubblico?
In alcuni degli altri commenti sembra di scorgere una possibile risposta:
«Non ha anima».
«Se i brand vogliono essere noiosi, questa è la strada più facile per riuscirci».
«Una delle pubblicità moralmente più fallimentari che abbia mai visto e non è nemmeno bella».
«Ma... qual è l’idea?»
«La cosa più divertente di questo pasticcio è quanto sia brutta questa pubblicità».
Le persone che hanno partecipato a questo dibattito appartengono prevalentemente all’industria creativa, quindi non erano esattamente scevre da conflitti d’interesse quando postavano questi commenti. Eppure è impossibile non essere d’accordo.
Il pubblico non ha bisogno di uno spot di qualità holliwoodiana, ha bisogno di sentirsi all’interno di un rapporto di fiducia con il brand che ama o ammira. Quando i video spettacolari saranno a portata di prompt per qualunque azienda, serviranno comunque delle idee creative per coltivare quel rapporto.
Per approfondire:
T. Nudd, A. Bonilla Ramos, Under Armour’s Ai-Driven Ad Unnerves Production Community Already on Edge, AdAge, 14 marzo 2024.
Ne sto vedendo un po' in giro di spot realizzati facendo uso in parte o in toto dell'AI. Alcuni meritano, altri meno.
Quello di Under Armor sta tra i meno, ma la discussione che ne è seguita credo derivi, oltre che dall'effetto novità, anche dalla volontà di stimolarla dichiarata nell'incipit del post su Instagram: "𝑩𝑾𝑮𝑻𝑩𝑳𝑫 𝒅𝒊𝒅 𝒏𝒐𝒕 𝒑𝒓𝒐𝒅𝒖𝒄𝒆 𝒕𝒉𝒊𝒔 𝒂𝒅; 𝒉𝒐𝒘𝒆𝒗𝒆𝒓, 𝒐𝒖𝒓 𝒑𝒍𝒂𝒕𝒇𝒐𝒓𝒎 𝒉𝒂𝒔 𝒃𝒆𝒄𝒐𝒎𝒆 𝒕𝒉𝒆 𝒔𝒑𝒂𝒄𝒆 𝒇𝒐𝒓 𝒕𝒉𝒊𝒔 𝒊𝒎𝒑𝒐𝒓𝒕𝒂𝒏𝒕 𝒅𝒊𝒂𝒍𝒐𝒈𝒖𝒆. 𝑻𝒉𝒊𝒔 𝒘𝒐𝒓𝒌 𝒊𝒔 𝒉𝒊𝒈𝒉𝒍𝒊𝒈𝒉𝒕𝒊𝒏𝒈 𝒂 𝒃𝒊𝒈𝒈𝒆𝒓 𝒅𝒊𝒔𝒄𝒖𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏 𝒂𝒏𝒅 𝒊𝒕'𝒔 𝒄𝒓𝒖𝒄𝒊𝒂𝒍 𝒕𝒐 𝒄𝒐𝒏𝒕𝒊𝒏𝒖𝒆 𝒂 𝒉𝒆𝒂𝒍𝒕𝒉𝒚 𝒂𝒏𝒅 𝒎𝒖𝒄𝒉-𝒏𝒆𝒆𝒅𝒆𝒅 𝒅𝒆𝒃𝒂𝒕𝒆 𝒕𝒉𝒂𝒕'𝒔 𝒄𝒖𝒓𝒓𝒆𝒏𝒕𝒍𝒚 𝒖𝒏𝒇𝒐𝒍𝒅𝒊𝒏𝒈."
Immagino che con il tempo se ne vedranno sempre di più e il dibattito sul giusto/sbagliato scemerà, cioè l'uso dell'AI diventerà la norma.
Concordo però che quello che rimarrà fondamentale è proprio la capacità di creare e mantenere viva l'identità di brand, trasmettere qualcosa al pubblico, al di là degli effetti speciali, l'AI, ecc.
E' sempre stato così e sempre così sarà.