Psicologia inversa
Secondo Antonia Wade di PwC, le persone tendono a essere diffidenti nei confronti della pubblicità. E ha ragione: ecco come evitarlo.
Mi piace parlare di libri.
Tranne quando un ragazzo in pettorina mi chiede: «Qual è l’ultimo che hai letto?».
Capisci subito che vuole venderti qualcosa.
Molti brand fanno lo stesso errore…
Buona lettura.
Perché è importante: Diversi studi dimostrano che i messaggi pubblicitari più creativi e meno focalizzati sulla vendita sono più efficaci.
La psicologia inversa è un concetto talmente popolare da essere finito anche nei Simpsons. Ovviamente usata come Homer non funziona nella realtà. Tuttavia il fenomeno esiste – e chi fa marketing dovrebbe tenerlo in considerazione.
Ce lo ha ricordato Antonia Wade, global CMO di PwC e Marketer of the Year 2024 per la rivista Marketing Week, che pochi giorni fa ha condiviso dieci suggerimenti per fare marketing al meglio.
«Ci ho messo parecchio tempo a capirlo, perché sono generalmente ottimista e di buon carattere, ma molte persone danno per scontato che i professionisti del marketing cerchino sempre di vender loro qualcosa. E questo significa che sono automaticamente scettici verso qualsiasi cosa tu dica».
Questa intuizione è confermata da uno studio apparso nel 2011 sul Journal of Consumer Research (confermato poi da studi successivi), secondo cui gli slogan collegati all’acquisto innescano comportamenti opposti a quelli che propongono.
Quando uno slogan suggerisce risparmio (ad es. quello di Walmart «Save money. Live better.») il campione analizzato si dimostrava più propenso a spendere. Per contro, quando suggerisce il comportamento opposto (ad es. gli slogan inventati «Lusso, te lo meriti» e «Perché puoi permetterlo») la disponibilità a spendere calava.
I ricercatori hanno spiegato così il fenomeno: quando le persone percepiscono un tentativo di persuasione alzano inconsciamente dei meccanismi di difesa. Come si può allora comunicare un prodotto?
Il suggerimento di Antonia Wade è applicare «una logica impeccabile», di modo che i consumatori non abbiano l’impressione «che tu stia cercando di vendergli fumo».
I risultati dello studio, invece, puntano in un’altra direzione. Infatti i comportamenti del campione analizzato erano coerenti con l’intento del brand quando venivano esposti solamente al nome o al logo. Quando vedevano il logo di Walmart la propensione alla spesa diminuiva, mentre aumentava quando vedevano quello di Tiffany.
Ovviamente le due strade non si escludono: avere una logica impeccabile aiuta a costruire fiducia. Ma anni di fake news e post verità ci hanno insegnato che non è la logica a persuadere una persona diffidente (come sa chiunque abbia provato a convincere un famigliare scettico a vaccinarsi durante la pandemia).
Ciò che funziona – almeno nel marketing – sono due cose che vanno a braccetto:
L’esposizione continua e coerente al brand in contesti non persuasivi. Vedere elementi come il logo, i colori, le grafiche, il design di prodotto e altri distinctive assets non collegati a messaggi di acquisto ha l’effetto di abbassare le difese e costruire emozioni positive. È l’effetto di mera esposizione, di cui abbiamo parlato nella puntata 2:7 del podcast. Ed è anche una tattica ben conosciuta dalle spie, che a volte prima di avvicinare il loro bersaglio si mostrano per lunghi periodi negli stessi luoghi in modo da apparire innocue.
L’uso della creatività per attirare l’attenzione e per trovare modi sempre nuovi e interessanti di presentare i distinctive assets. Serve infatti una buona dose di creatività per trovare un messaggio che sia collegato al prodotto, pur senza dire «Compra ora!». Ma è cruciale: lo studio del 2011 dimostra che quando le persone si concentrano sulla creatività dello slogan, i meccanismi di difesa non si innescano.
E così, partendo da un altro luogo e percorrendo tutt’altra strada, sono arrivato alla stessa conclusione di Mark Ritson e Andrew Tindall, che pochi mesi fa hanno presentato a Cannes i risultati dei loro studi sulle banche dati di Effie e System 1 (parliamo di oltre 1.250 campagne negli Stati Uniti e in Europa, insieme ai dati sulle risposte emotive agli annunci di oltre 200.000 persone). Sono emersi tre temi:
le pubblicità sono più efficaci quando usano la creatività per suscitare una risposta emotiva,
quando vengono ripetute per anni anziché per mesi
e quando espongono gli asset distintivi in modo esplicito e ripetuto.
In altre parole, per essere davvero persuasivi ed efficaci bisogna usare la creatività e mostrare con coerenza il proprio logo e agli altri distinctive asset. Altrimenti si finisce spesso per cadere nella psicologia inversa.



Come fare un incontro con un perito assicurativo. Prima si parla del più e del meno, poi quando hai abbassato le difese....tac! Sei già fregato.